Il linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL) è la forma più frequente di linfoma. Benchè la chemioimmunoterapia R-CHOP sia in grado di guarire circa il 60% dei pazienti in prima linea di terapia, circa il 40% dei pazienti risulta refrattario o recidiva dopo tale terapia. Nell’ambito dei pazienti che recidivano, presentano una prognosi particolarmente sfavorevole quei DLBCL che si localizzano a livello del sistema nervoso centrale.
Con queste premesse, è facilmente intuibile che vi sono almeno 2 importanti unmet needs per i pazienti affetti da DLBCL sottoposti a terapia di prima linea: da un lato partecipare a degli studi clinici che permettano di migliorare l’outcome dei pazienti con DLBCL in I linea trattati ora con R-CHOP, dall’altro identificare fin dalla diagnosi pazienti ad alto rischio di recidiva al sistema nervoso centrale (SNC), in modo da effettuare una adeguata profilassi che permetta di ridurre al minimo il rischio di recidiva al sistema nervoso centrale.
Studio POLARIX
Il primo lavoro selezionato riguarda lo studio POLARIX, che ha randomizzato 879 pazienti affetti da DLBCL in uno studio di fase III internazionale, randomizzato, placebo-controllato, in doppio cieco, a ricevere 6 cicli di R-CHOP (439 pazienti) o Polatuzumab Vedotin (Pola)-R-CHP (440 pz) più 2 cicli addizionali di R. La tipologia e la frequenza degli eventi avversi di ogni grado così come di quelli di grado 3/4 sono risultati simili nei due gruppi. Dopo un follow-up mediano di 28.2 mesi, la percentuale di pazienti libera da progressione (PFS) e senza eventi (EFS) a 2 anni sono state più alte nel gruppo trattato con Pola-R-CHP che nel gruppo R-CHOP (PFS: 76.7% vs 70.2%; EFS: 75.6% vs 69.4%, rispettivamente). Tuttavia, non sono emerse differenze in PFS o EFS in alcune importanti categorie di pazienti, tra i quali quelli di età ≤60 anni, con sottotipo GCB, con malattia bulky o con con IPI score basso. Infine, non è emersa alcuna differenza nella percentuale di remissione completa metabolica e nella sopravvivenza globale a 2 anni (88.7% pola-R-CHP, 88.6% R-CHOP; Hazard Ratio 0.94; p=0.75). In conclusione, nei pazienti con DLBCL a rischio intermedio o ad alto rischio precedentemente non trattati, il rischio di progressione della malattia, recidiva o morte è inferiore tra coloro che hanno ricevuto pola-R-CHP rispetto a quelli che hanno ricevuto R-CHOP, ma questo non si traduce in una sopravvivenza differente.
Studio First-MIND
Nel secondo studio analizzato è coinvolto il Tafasitamab, un anticorpo anti CD19 umanizzato con due caratteristiche strutturali:
1. E’ un anticorpo ingenierizzato nella sua Fc con l’obiettivo di aumentare l’affinità di legame per tutti i recettori effettori delle cellule NK e dei macrofagi
2. E’ un anticorpo derivato da un Ab murino umanizzato con una nuova tecnologia per aumentare l’affinità per l’antigene CD19 Il meccanismo di azione di tafasitamab media la lisi delle cellule B attraverso apoptosi diretta, la citotossicità anticorpo dipendente cellulo-mediata (cellule NK) e la fagocitosi anticorpo-dipendente mediata dai macrofagi.
Tafasitamab è stato approvato da FDA a Luglio 2020 in combinazione con lenalidomide per il trattamento di pazienti adulti con DLBCL in recidiva o refrattario non idonei per trapianto autologo di cellule staminali. E’ quindi al momento l’unica terapia in US registrata a partire dalla seconda linea di trattamento. EMA ha infine approvato la combinazione a Luglio 2021 nella medesima indicazione, in base ai risultati delle studio L-MIND.
Per valutare se anche i pazienti con DLBCL di nuova diagnosi possano trarre beneficio da questo regime, è stato disegnato uno studio di Fase Ib (First-MIND; NCT04134936) per valutare la sicurezza e la tollerabilità di tafasitamab ± LEN in associazione a R‑CHOP nei pazienti con DLBCL di nuova diagnosi.
83 pazienti di età mediana di 64,5 anni (range 20-86) sono stati valutati, e 66 pazienti sono stati randomizzati 1:1 a sei cicli di R‑CHOP 21 + tafasitamab (12 mg/kg IV, D1, 8, 15) (braccio A, 33 pazienti) o R-CHOP 21 + tafasitamab + LEN (25 mg per via orale, D1–10) (braccio B, 33 pazienti). Tutti i pazienti avevano una malattia ad alto rischio IPI (2-5), oltre il 90% in stadio avanzato (stadio III/IV). Gli eventi avversi legati al trattamento (TEAE) più frequenti sono risultati essere neutropenia di grado ≥3 (57.6% braccio A, 84.8% braccio B), neutropenia febbrile di grado ≥3 (18.2% in entrambe i bracci), trombocitopenia di grado >3 (57.6% braccio A, 84.8% braccio B), infezioni di grado ≥3 (21.2% braccio A, 27.3% braccio B). L’intensità di dose è stata mantenuta in entrambi i bracci. 3 pazienti in totale hanno interrotto il trattamento a causa di un TEAE. 4 pazienti sono deceduti per cause non correlate a tafasitamab e/o LEN (polmonite COVID-19, sepsi e urosepsi). L’overall response rate è stata 75,8 nel braccio A 81,8%nel braccio B. In conclusione, i dati dello studio. firstMIND suggeriscono che entrambi i regimi sono tollerabili e non alterano il dosaggio e la programmazione di R-CHOP. Le tossicità sono risultate simili a quelle attese con R-CHOP con o senza LEN, e l’efficacia sembra essere promettente.
Uno studio di Fase III, multicentrico, randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo sta attualmente reclutando pazienti di età compresa tra 18 ed 80 anni ed ECOG 0-2 per valutare l’efficacia e la sicurezza di R-CHOP + tafasitamab + LEN rispetto a R-CHOP in pazienti con DLBCL di nuova diagnosi a rischio IPI alto ed intermedio-alto (IPI 3-5, aaIPI 2-3) (studio frontMIND; NCT04824092).
L’efficacia della profilassi delle recidive al SNC
Il terzo, il quarto e il quinto lavoro selezionati sono tre studi retrospettivi e multicentrici di vita reale, che vanno ad analizzare, su grandi numeri di pazienti, l’efficacia della profilassi delle recidive al SNC con terapia intratecale (IT), metotrexate ad alta dose (HD-MTX) o una combinazione delle due terapie o il timing della profilassi con HD-MTX.
Orellana-Noia ha valutato 1162 pazienti trattati in 21 centri USA, 67% DLBCL di cui 42% GCB, CNS-IPI intermedio 51.4% ed elevato 30.2%, trattati in prima linea con R-CHOP (47.5%) o R-EPOCH (45.1%). Non è stata dimostrata nessuna differenza statisticamente significativa tra profilassi intratecale ed endovenosa (EV): 48 (5.4%) IT vs 16 (6.8%) EV (OR 1.28, 95% CI 0.71-2.30; P = .4), nessuna differenza in termini di timing di somministrazione (contemporanea vs al termine, p=0.52) e nessuna differenza in termini di decessi per recidiva al SNC in base al tipo di terapia di profilassi. Lewis ha valutato su 2300 pazienti seguiti in 21 centri in Asia, Europa, Australia ed USA; tutti i pazienti erano ad alto rischio per ricaduta al SNC per CNS-IPI elevato (89.2%) o malattia double-triple hit o localizzazione mammaria o testicolare, trattati prevalentemente con R-CHOP (93%). L’obiettivo principale di tale studio era valutare l’efficacia di HD-MTX nella riduzione del rischio di recidiva al SNC. Tra l’intera popolazione con DLBCL (2300 pazienti), e tra i DLBCL in remissione completa (1455 pazienti), il 60% dei pazienti non riceveva alcuna profilassi, mentre circa il 18% riceveva HD-MTX con o senza profilassi intratecale ed un ulteriore 18% soltanto MTX intratecale. I risultati, con i limiti legati all’elevato numero di pazienti che non riceveva alcuna profilassi e la natura retrospettiva dello studio, non hanno mostrato nessuna differenza statisticamente significativa in termini di rischio di ricaduta SNC a 5 anni nei due gruppi (IT vs HD-MTX) né nell’intera popolazione né nei pazienti in risposta completa al termine dell’induzione. Infine nel lavoro di Wilson, sempre multicentrico retrospettivo su 1384 pazienti a rischio di progressione SNC, il confronto tra l’uso di HD-MTX intercalato tra i cicli R-CHOP o al termine non dimostra differenze nel rischio di progressione, ma l’uso intercalato determina un significativo ritardo nella somministrazione di RCHOP che può peggiorare l’outcome.
Dai lavori di Orellana-Noia e Lewis si evince che non vi è, al momento, un consenso internazionale su quale sia la migliore profilassi per prevenire le ricadute al SNC nei pazienti con DLBCL. In considerazione della numerosità dei pazienti inseriti in questi due studi retrospettivi, il rischio di ricaduta SNC nei sottogruppi ad alto rischio si conferma elevato. Non sembra esserci un chiaro beneficio della sola profilassi con MTX-HD rispetto alla profilassi intratecale, e l’utilizzo di MTX-HD non sembra ridurre in modo significativo l’incidenza di ricadute al SNC, soprattutto nei pazienti ad alto rischio. Tali dati, basati su studi retrospettivi non ci devono portare ad abbandonare la profilassi SNC, e considerato il severo impatto prognostico correlato alle ricadute al SNC, un approccio terapeutico basato sull’ottimizzazione del trattamento di prima linea, la profilassi intratecale e l’utilizzo di farmaci in grado di attraversare la barriera emato-encefalica sembra auspicabile per i pazienti ad alto rischio.
Per maggiori dettagli sugli studi presentati in questo commento, vi invitiamo a consultare l’approfondimento specifico.